Poesia

soliloquiare

Lacerazione vitrea è vedere l’amore
quando l’amore vederti non intende né sa
l’ ubriacante confusione di sentimenti sfuocati
un viso svergogna
arrugginito dalle lacrime.
indifferente becchino appare cronos
A scavare altra tomba intento e compiaciuto
corre e intercettare non si lascia la gente intorno
mentre di baglior orfano resta il mio giorno.
Ma è l’autenticità dell’amare
la traiettoria velenosa del lasciarsi annientare?
Avidi morsi di serpenti di fuoco
sono le dame invisibili delle autoconsolazioni
scalpita impazzita la giostra dell’illusione
E arrestandosi va, alla rabbuiata stazione del vero esistere.
tutto non è che prosa assassina
speranza già vetusta, in un corpo di bambina
caldo e fresco a intrecciarsi si baloccano
senza più distinguersi.
Fiore che avvizzisce rapido e indifeso
è il simulacro di una propria identità
che viaggiare possa al fianco
della propria metà.
E’ l’autocommiserarsi seducente unguento
vitalità stuprata, che affoga in un ruscello d’argento;
no, più non si genuflette a occhi ammuffiti
la lucentezza d’una cima di traguardi;
la vita è un bersaglio che passa sempre, maledettamente in ritardo
rispetto allo scoccar di freccia del tuo sguardo.
Rinascere guisa non ha,
ma si veste di inestirpabile missione,
tutto servir potrà
una carezza, un pensiero, una canzone,
ridarsi a se stessi,
calvario sarà di pungente sudore,
sfida che sempre avvolge
a ritrovarsi migliore
dopo aver gustato impotenti
il rancido piatto del dolore.

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