Poesia

La peste negli occhi

La mascherina copriva il volto, la narice non esalava e la bocca rinchiusa non gemeva la quotidianità stancamente vissuta, erano gli occhi che consumavano lo sguardo, la loro umidità respirava come l’ultimo momento di un incontro.
Un leggero mascara nero esaltava il colore dell’iride incurvando alla perfezione le ciglia come in un sentiero tortuoso da percorrere.
Lo sguardo prima della peste non aveva la stessa capacità di catturare la ricerca di un attimo, lo slancio necessario per superare un ostacolo.
Lo sguardo prima della peste fuggiva come il tradimento di un complice pentito stampato sul proprio volto.
Ora la mascherina si trasforma nella totalità del volto, la bocca nascosta emette labili suoni, e la velocità degli occhi lancia un nuovo alfabeto, che si fa memoria e presente, si azzarda sul futuro, parla senza voce.
Che ne rimane della normalità che riempiva il volto di rughe donandole la regalità dell'esperienza vissuta, il sudore del lavoro a chiamata, le risate nel monotono giorno, l’espressività dei lineamenti, la durezza della paura, la disinvoltura senza identità.
Ci voleva la peste del nuovo millennio per scardinare l’ormai antiquata sceneggiatura, dove tutto era al suo posto, guai a cambiare il copione, solo a pensarlo il rischio si riproduceva in pericolo.
E venne lo sguardo con i suoi occhi ricolmi di peste, il corpo quasi separato dalle funzioni visive lentamente cammina dando un passo di danza ancestrale, abbracciato al nulla, scivoloso tra la folla a distanza, senza l'apparenza di un tempo.
Lei guardava con la bellezza dei suoi occhi e accarezzando con le labbra la colorata mascherina: “non tornerò alla normalità; la normalità è il problema”.

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