Poesia

Cellule, germi, e pulviscolo

22 gennaio 2020

Una volontà ancestrale,
comandava i suoi
passi cedevoli,
cadenzati dalla
precarietà,
salendo le scale,
seguiva le orme,
del suo fallimento,
stampe sulla neve,
farinosa,
di arrendevole sfiducia,
nessuna spinta propulsiva,
dell'agire,
incompetenze
del non
vissuto,
saliva mentre la giostra
sbiadita,
senza infamia né lode,
girava nei suoi ultimi pensieri,
scalino dopo scalino,
fino alla cima  del disastro.

Si sporse,
in avanti,
i suoi lineamenti,
tirati,
asciugati da qualche
nevrosi di questo
presente,
futuro malato,
schiafeggiati,
dall'incombenza decisionale,
abbasso lo sguardo,
nella moltitudine parlante,
di cellule,
germi,
e pulviscolo,
messi li,
dalla mano
del
caotico fato
a riempire i vuoti,
lasciati dal vento.

Ametiste di neve,
cadevano,
danzando il flamenco,
per poi imbiancare,
le architetture,
progettate,
disegnate,
a china,
nel tangibile,
da Renzo Piano.

Come un richiamo,
il marasma in basso,
lo attirava a sé,
bastava un salto,
un volo senza
le ali di Leonardo,
a caduta libera,
un volo
un precipitare,
tra gargoyle di ghiaccio,
e fate d'ametrino,
verso il marasma nero,
di spettri putrefatti,
in pena
per le occasioni perdute,
collezzionabili
per la
negatività sempre piu
radicata,
persistente.

Poi infine spegnersi,
e disfarsi,
non esistere più,
non essere più,
né positività,
né negatività,
più niente.

L'esitazione,
si risveglia,
scossa,
con forza
sovrumana,
dall'istinto di
sopravvivenza,
zavorra i suoi piedi,
ora troppo appesantiti,
dai dubbi,
per spiccare un balzo,
si guardo intorno,
era sceso,
la volontà di
vivere era ancora,
più forte
della volontà
di mororire,
il suo aggregato
di cellule,
germi,
e pulviscolo,
lo mischio,
alla moltitudine parlante,
di cellule,
germi,
e pulviscolo,
nel rigido inverno,
privo di un
qualche Natale
da festeggiare
in modo liturgico,
o da profano.

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